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La saga di padre Zef Pllumi, una confessione eterna

E merkure, 25.08.2010, 09:23 PM


Critica Letteraria

La saga di padre Zef Pllumi, una confessione eterna.

Agron Y. GASHI

Saga, libro dell’infanzia

  

Il libro “La Saga dell’Infanzia” (2009) è l’ultimo manoscritto di Padre Zef Pllumi, pubblicato postumo. A differenza dei suoi due libri monumentali e autobiografici, come “La Storia mai Scritta” e  Vivi Solo per Raccontare”, il libro “La Saga dell’Infanzia” tratta di un periodo che non era stato incluso nei libri precedenti: l’infanzia.

Mentre i primi due libri indugiano tra le memorie e tra l’autobiografia, “La Saga dell’Infanzia” è un’autobiografia tipica scritta per essere il libro della vita. Poiché la catalogazione è stata data fin dal titolo, le ricerche per la interpretazione e l’analisi devono iniziare da qui. In primo luogo, la definizione del genere - così come insegnano le teorie contemporanee - quando viene esposta nella facciata del libro, in qualche modo è un invito a leggerlo in quanto tale, perciò le pretese dell’autore creano un patto di fiducia con il lettore.

Secondo i teorici, l’autore è ‘costretto’ a mantenere questo patto fino alla fine del libro. Fino a quando non accadrà diversamente, abbiamo ragione di credere alle scelte di catalogazione dell’autore e, naturalmente, anche nel suo racconto.

Padre Zef ha scelto come titolo “Saga”, una forma letteraria, che racconta la vita personale e familiare, mettendo in funzione la narrazione come una forma di comunicazione verbale. La ‘Saga’ nella letteratura scandinava, da dove è originaria, può essere una canzone epica, una leggenda, e nella letteratura tedesca è considerata la regina delle storie, probabilmente per un solo motivo: come da nessuna altra parte, vi si esibisce la narrazione personale.

Padre Zef ha scelto la forma migliore, la regina della narrazione per narrare la vita e la sua infanzia. Inoltre, i segni della narrazione autodiegetica vengono dati fin dal titolo, e come se tutto ciò non bastasse padre Zef definisce in modo esatto il genere nel sottotitolo: racconto autobiografico.  

Il genere determinativo racconto autobiografico rafforza la tesi che l’autobiografia è una fissione sui generis, una grande autofinzione dove gli argomenti sono indicati, soprattutto quando viene vista con status di intertesto (Grillet, Barthes, Jefferson). Fin dall’inizio padre Zef ha riassunto tutti i piani del testo per una forma rigorosa autobiografica, com’è “La Saga dell’Infanzia”.

 

Se dobbiamo parlare con il linguaggio di Lejeuen la Saga di Zef Pllumi incorpora in sé le quattro categorie essenziali, le quali rendono possibile che un testo si qualifichi come autobiografico. La forma del linguaggio è una narrazione (in prosa), come tema ha la vita personale e la storia dello sviluppo della personalità, la situazione dell’autore viene resa tramite la chiara identificazione con il narratore visto che quest’ultimo rappresenta dignitosamente la prospettiva retrospettiva della narrazione autodiegetica.   

In tal senso “La Saga dell’Infanzia” rappresenta l’autobiografia sensu stricto, in tutti i dialoghi con il testo. 

 

 

3. I Racconti Autobiografici.

 

La Saga di padre Zef si struttura in sei racconti autobiografici come sei autobiografie: “L’Arrivo in questo mondo”, “La prima bugia”, “La fuga da casa”, “L’Ammissione in collegio”, “Con padre Gjergj Fishta”. Il primo racconto è più voluminoso rispetto agli altri, che sono quasi uguali. Come nella trilogia “Vivi Solo per Raccontare”, il tema dei racconti autobiografici è esplicito fino dai titoli. I titoli sono segnalatori delle vicende e indicano il corso del racconto retro- introspettivo autodiegetico. Anche se, per essere un testo tipico autobiografico e per attenersi all’intesa referenziale chiamata da Lejeune ‘il patto autobiografico’, sono necessari anche gli altri indizi: la scelta dei titoli, l’intenzione data all’inizio del testo e l’accenno al nome almeno lì dove si pensa che siano presenti i contorni principali del testo. 

Nella Saga di Padre Zef, la scelta dei titoli è stata fatta a seconda delle situazioni della vita che lui ricorda meglio e che naturalmente testimoniano e conservano il carattere della figura principale del testo, sia come persona che come personaggio letterario. I suoi testi sono anche preceduti da frammenti autobiografici che hanno lo status di epitesti letterari e con i quali l’autore si rivolge al lettore. Questo è un inizio per un patto fiduciario e per un passo nella grande narrazione della vita. Questo succede all’inizio del libro “La Storia Mai Scritta”, nella trilogia “Vivi Solo per Raccontare”e nella “Saga D’Infanzia”: 

 

Il lettore capisce benissimo che io non ho vissuto neanche un singolo secolo. Il luogo nel quale sono nato, le vicende che ho vissuto, le diverse circostanze del mondo e della mia vita mi portarono la fortuna o la sfortuna – pensalo come vuoi – di vivere realmente l’epoca della pietra, le civiltà pre-cristiane, i tempi classici, l’epoca medievale, tutto nel ventesimo secolo. Ma non sono contento di tutto ciò. Io ho sempre aspirato ad un'altra epoca del futuro per tutta l’umanità.

Verrà mai quell’epoca? Io ci credo.”

 

Nel primo racconto “L’Arrivo in questo mondo” l’autore ricorda e descrive i primi momenti durante la sua nascita. Il racconto ha le dimensioni di una confessione raccontata due volte; l’autore racconta la narrazione che a lui hanno raccontato altri, un tipo di sovraracconto (iperfinzione ) autobiografica:

 

Non mi ricordo il giorno in cui sono nato poiché non sono così intelligente, e in realtà non lo so nemmeno oggi, ma ho creduto ciecamente a quello che mi hanno raccontato gli altri. Questa è una realtà storica? Non lo so.” 

 

Nel racconto “La prima bugia” l’autore si presenta con tutte le peripezie umane; un'altra scelta questa verso il mito del soggetto, non celebrando sé stesso, ma facendo atti usuali come la gente comune. Nella maggior parte scrive modellandosi sulla prosa infantile e presentando la conferma, la narrazione e l’informazione allo stesso livello.

In questo modo il racconto “La prima bugia” è semplicemente un racconto personale, nel quale il soggetto non si presenta come un essere perfetto nel testo.

Nel racconto “Il desiderio di diventare prete” le categorie del racconto si susseguono. Il tempo e lo spazio vengono dati in modo esatto. Le persone reali vengono presentate con il nome e cognome. Descrivendo il desiderio di diventare missionario della fede, il testo prende un colore emozionale, anche senza essere un testo intransitivo nel senso Barthesiano. 

Così come nell’autobiografia di Noli, anche nella Saga di Padre Zef Pllumi i titoli indicano azioni e idee. Questo viene testimoniato dal racconto “Fuga da Casa”, nel quale il desiderio per la dottrina dell’amore prende la forma di un leitmotiv che si muove da un racconto all’altro in modo indissolubile. Questo desiderio e amore viene esplicitato ancora di più proprio laddove si sottolineano i segni e i miti della grandezza personale. L’autore si attiene alla cronologia e al racconto lineare, in modo tale che l’autobiografia conservi la coesione e il racconto la coerenza. In certi casi, dentro un frammento autobiografico la descrizione e il racconto funzionano insieme. Nei momenti in cui manca l’uno si presenta l’altro; la scrittura diventa indicativa e rappresentativa conservando la drammaticità dell’evento nella forma del dialogo.

La stessa forma del retro-racconto si osserva anche nel racconto “L’Ammissione in Collegio”, che rappresenta un forte nodo autobiografico per il fatto che l’autore fa emergere di più l’accordo referenziale, integrando all’interno della scrittura anche la descrizione e il racconto.

La descrizione degli uomini montanari è inusuale, come lo è la narrazione delle tradizioni e usanze popolari: il rito della morte, dell’ospitalità, lì dove la cultura della comunicazione e di un certo atteggiamento non conosceva età ma l’ordine e il kanun. Il codice e il discorso popolare favoriscono il desiderio di raccontare la vita, la missione della quale era diventata il suo scopo fin dal libro “Vivi Solo per Raccontare”.

A differenza dei racconti precedenti, nel racconto “Con padre Gjergj Fishta” il discursus letterario si intreccia con quello informativo. L’autore per stare al centro del testo si attiene alla scrittura autobiografica: la storia su di me, nel quale si mostra il codice culturale che si collega con la formazione e la scuola francescana. Comunque, il racconto “Con padre Gjergj Fishta” è autobiografico  e costruito da due strategie narrative retrospettive: l’infantilismo e, in chiusura, l’uomo maturo. L’integrazione di queste strategie all’interno di un testo autobiografico da parte della teoria moderna viene riconosciuta come un dono e una maestria dei grandi narratori, quale è Padre Zef  Pllumi.

 

Semiautobiografia: introduzione all’autofinzione

 

Essendo stata accettata tardivamente come genere, tutte le cose che sono state dette riguardo all’autobiografia sono state nella maggior parte teorizzazioni della prosa funzionale con aggiunte di segni autoreferenziali. Da qui sono stati generati anche i concetti e le nozioni teoriche riguardo la teoria di questo genere letterario. Ultimamente la teoria strutturale ha dimostrato che esistono diversi generi di autobiografia, come: l’autobiografia discorsiva, la strutturata sui discursi, l’autobiografia ‘epica’ che prova a rappresentare la narrazione oggettiva, l’autobiografia finzionale nella quale si considera il principio del flusso cronologico degli eventi. Davanti a loro si colloca il tipo ‘lirico’, che capovolge la cronologia degli eventi e nella quale non c’è un sistema di dati, bensì una separazione nel tempo e nello spazio.

Da qui la grande divisione dei modelli autobiografici nella letteratura albanese, che si è rivelata essere letta come una autopoetica; ed ecco perché abbiamo il modello autobiografico soggettivo (lirica) che mira all’obiettività e il modello autobiografico oggettivo (epico) che mira alla neutralità. Per il primo modello è tipico il racconto in prima persona, mentre per il secondo quello in terza persona. In questo contesto “La Saga dell’Infanzia”, analizzata secondo tutti i criteri della teoria moderna dei generi, appartiene al modello dell’autobiografia soggettiva. Padre Zef Pllumi ha scritto la Saga in prima persona singolare, segno di soggettività della scrittura tramite la quale tenta di stabilire la legittimità del genere letterario (Anderson). Come nella trilogia della memoria, racconta anche in terza persona in modo da lasciare spazio anche a coloro che assumono le premesse di personaggi letterari. Tuttavia, tale soggettivismo viene visualizzato nella parte anteriore del libro, sia come un atteggiamento del narratore che come una figurativizzazione della situazione: “Io che vissi tanti secoli”.

Questa frase, oltre a significare la sofferenza dell'autore, rompe le regole del genere alle quali si riferiva Derrida, poiché il tempo oggettivo viene trasformato in tempo soggettivo, per far strada alla  semiautobiografia; questa era la nozione dei teorici tedeschi riguardo l’autobiografia, che si porta dietro i segni letterari finzionali (Aichinger).

La semiautobiografia è un’autobiografia in cui i segni letterari si manifestano in tutto il testo. La semiautobiografia è un testo autofinzionale poiché siamo in una zona in cui il soggetto e l’oggetto sono uno. In questo caso, “La Saga dell’Infanzia” più che autobiografia è semiautobiografia, una autofinzione divisa in autobiografemi. Naturalmente, qui gli autobiografemi si strutturano come racconti di finzione auto-referenziali. Padre Zef dimostra praticamente che la scrittura autobiografica non è solo una scrittura che documenta, come i diari, le cronache e le vecchie saghe famigliari, ma è anche uno scritto intrapersonale con effetti di finzione; questo scritto è diventato multi-genere e multi-disciplinare nella misura in cui è stato – a seconda dei casi – trasformato in finzione oppure in non finzione (K. Rrahmani).

In questo modo l’autofinzione è presente nei primi frammenti della “Saga dell’Infanzia”, che inizia in prima persona per spostarsi poi in terza persona. Con il trasferimento della narrazione dalla prima alla terza persona, oltre a cercare l’obiettività si verificano variazioni nel tempo e nello spazio.

Nei testi di finzione i superamenti narrativi hanno lo scopo di creare effetti convincenti. Quando i passaggi sono efficaci possono fornire un'idea completa, e quando non lo sono creano confusione nel lettore (M.V. Llosa).

Superamenti del genere nella Saga di Padre Zef danno degli effetti positivi poiché preservano la coerenza della narrazione, collegando il filo della storia con il filo della vita in una ricostruzione completa della vita nella carta che è sempre stata l'aspirazione del genere dell'autobiografia.

Questi superamenti, da una persona reale ad un’altra persona reale oppure finzionale, sono note come superamento di qualità. In questo modo la retronarrazione fluisce in diverse linee dove operano diversi codici: il codice mimetico e quello mitico. Il codice mimetico è reale mentre quello mitico è finzionale.

Durante l'estrazione del codice mimetico reale, il discursus personale domina nel testo. Mentre quando si intercala il codice mitico regna il discursus impersonale; l'autore descrive le tradizioni e i rituali della nascita in montagna. Il codice mitico si mette in funzione tramite l’inter-narrazione, lì dove l’ autobiografema si converte in mitologema. In poche parole, il codice mitico, in gran parte trasforma l’autobiografia di padre Zef in semiautobiografia per consolidarsi in un accordo di testo auto-referenziale.

 

L’Intesa Testuale

 

Chiameremo intesa testuale il rapporto tra i costituenti testuali, la loro identificazione e armonizzazione. Questa intesa nell’autobiografia è un intesa esplicita. Inoltre, nei testi autobiografici di Padre Zef, questa intesa funziona in modo dinamico. La stessa cosa accade con l'autobiografia “La Saga dell’Infanzia”, in cui il personaggio e il narratore si identificano con l'autore, il discursus assomiglia al corso della vita, la scrittura assomiglia alla parlata, la parlata si identifica con l’ambiente, il contenuto si adatta alla categoria del genere e infine il tipo all’archetipo. Questa rassomiglianza, adattamento, armonizzazione tra gli strutturali testuali, che qui chiamiamo intesa testuale, nella Saga di padre Zef è molto funzionale. 

Questo per due motivi:

Primo: Padre Zef Pllumi apparteneva alla scuola francescana, che aveva a cuore il discursus idiomatico, poiché come viene parlata la lingua, la lingua madre, così anche viene scritta;

Secondo: Padre Zef Pllumi era innamorato della dottrina cristiana, e – anche se non era uno scrittore –  conosceva meglio di altri gli espedienti della storia.

 

Giacché nelle altre autobiografie l’intesa testuale funziona in modo frammentario, “La Saga dell’Infanzia”, trasforma questa intesa in principio autobiografico. In questo modo, la Saga di padre Zef Pllumi, come una autobiografia vera quale è, soddisfa le esigenze che vengono sollevate dalla estetica idealistica in cui la vita dovrebbe essere a forma di un’opera artistica, nella quale ogni elemento è diretto dal telos, vale a dire dal limite della vita (Eigler).

Questa intesa si sottolinea più in particolare lì dove abbiamo la sintesi del discursus letterario, dove i confini tra la realtà e la finzione non sono identificabili, soprattutto dove i discursi narrativi si trasformano in una forma della storia viva.

In modo conclusivo, l’intesa testuale e l’atto autoreferenziale della scrittura garantiscono l’autenticità del testo (Pascal, Aichinger, Onley).

 

La performance linguistica: l’Idioletto

 

Esiste un tipo di linguaggio comune, che è molto naturale e che ci offre la realtà così com'è, senza cambiarla e senza snaturarla, ma imitandola accuratamente (Eagleton). Questo linguaggio comune  spesso è molto più credibile per il lettore. In quanto tale, fornisce dati tanto più precisi quando si sa che la precisione è una delle caratteristiche del genere dell’autobiografia. Questo tipo di linguaggio comune, simile alla lingua parlata, è tipico della scrittura di Padre Zef, perché non si può prevedere che un francescano, nato e cresciuto in un contesto epico, allo stesso tempo si metta a raccontare in lingua letteraria.

Questa lingua comune, sia parlata che inventata, è la lingua della presentazione, della dimostrazione, piuttosto che il linguaggio della confessione, poiché quest’ultimo appartiene alla categoria della narrazione che più si adatta al linguaggio narrativo tempificato.

Osservando le frasi constatate come enunciazioni contenenti il vero a prescindere dal fatto che siamo propensi a non cercare con tenacia la loro precisione ed efficienza, dal momento che questa verità cerca di confessarsi, di crearsi, di ricordarsi attraverso il linguaggio e la scrittura, la prestazione linguistica ha un ruolo chiave. Una tale prestazione non manca neanche a Padre Zef. Esattamente la sua prestazione linguistica trasforma la storia di vita in una confessione eterna. Questa performance si osserva chiaramente in tutti i livelli linguistici, sia in quello fonetico e sintattico, che quello morfologico e lessicale.

La fraseologia di Padre Zef è una delle più peculiari della letteratura albanese. Come tale, essa è piacevole. Il piacere della frase è un’idea culturale, diceva Barthes. Questo si lega direttamente alla scuola, alla formazione e all’ideografia dell’autore: la dottrina cristiana. Infine, tutte queste influenzano e determinano il corso della vita e della scrittura.

 In questo caso la fraseologia è tipica del personaggio. In Padre Zef, l’auto-linguaggio ha una funzione di riferimento permanente: i dati si riferiscono alla vita, al discorso popolare e agli archetipi linguistici del dialetto Gheg. La fraseologia idiomatica muta le prestazioni narrative: la lingua della narrazione si converte in lingua di presentazione. Dato che questi due tipi sono categorie della narrazione, la differenza tra loro è profonda e comprensibile. Quest'ultima corrisponde alla fraseologia idiomatica. La fraseologia nel migliore dei casi individua la lingua rappresentativa, la quale funziona in Padre Zef come racconto vivo, subordinata all’ipotesi e alla metonimia, all'immagine dominante della prosa:

 

"- Madre - così la chiamavano tutti essendo la donna di casa – io l’aspettavo qualche giorno più tardi. Quando si sdraiarono vicino al focolare per riposarsi, presi il laccio e la scure e scesi laggiù per un carico di legna poiché mancava il pane pronto con il quale si erano sfamati i bambini. Quando finii di preparare il carico di legna iniziai a sentire dei dolori. Chiesi a Dio, non avendo nessuno vicino per aiutarmi oltre a Lui e alle Ninfe delle Alpi”.

 

[albanese: “- Nanë- sepse kshtu e thirshin të gjithë si zojë shtëpie, nanë - un e kam pritë per disa ditt ma vonë. Kur us trine bri votërs me pushue, un mor lakun e spaten e shkova atje poshtë per nji barrë dru, mbasi nuk kemi buk të gatshme se e kanë mbarue fëmija. Kurvbana gadi turren e druve ndjeva se filluen dhimbat. Kërkova aty ma fali Zoti e nukpata kurrkend afer me më ndimue përveç Atij e Orve të ktyne bjeshkve”.]

 

Pertanto, il contratto testuale diventa un contratto di codici linguistici e strutture lessicali le quali danno al corso della vita la forma più affidabile della scrittura. Il contratto testuale si rafforza soprattutto quando il discursus corrisponde al tema, ai topoi, e anche quando diventa segno distintivo e identificativo delle persone e dei personaggi del mondo reale. In questo modo, risulta in un linguaggio che funziona fuori dai canoni letterari per diventare e identificarsi completamente nella lingua della letteratura e della finzione profonda.

 Ciò viene consentito dagli archetipi linguistici che danno sempre forma all’idioletto, il quale è formato tramite le modificazioni fonetiche tipiche ambientali, che portano i segni dell’autore, della scuola francescana e della dottrina cristiana.

Inoltre, le variazioni dei dittonghi e le varianti fonetiche si trasformano costantemente da una autobiografema a un’altra. Tutte queste varianti e fenomeni fonetici trasformano il  linguaggio narrativo in conversazione inventata, come quando si narra una storia con contenuti risalenti ai tempi antichi.

In questo senso, la sintassi della frase corrisponde al codice duplice: alla lingua scritta e parlata, per il fatto che all’interno di essa si incastrano anche le forme semplici letterarie e artistiche come le  leggende e i miti che ottengono la forma dei racconti antichi albanesi.

Per essere qualificata come tale, l’intesa testuale dovrebbe essere approfondita anche a livello morfologico. In questo contesto, le classi di parole – nel tentativo di trascriverle dal dialetto in lingua letteraria – corrispondono alla lingua standard. C’è un ampliamento delle classi dei nomi, i quali oltre a pronominare, scoprono l’origine del personaggio e l’autenticità dello scritto.

A livello semantico il testo di Padre Zef rende più significative le figure, in particolare modo quelle della prosa. Analepsa è quella che le guida tutte, perché siamo in un genere in cui la narrazione retrospettiva è la regola della scrittura. Dopo si manifesta la metonimia e il simbolo. Non vogliamo parlare della stilistica del linguaggio ma dei molteplici significati che dipendono dall’uso in grande o in piccola quantità del linguaggio figurato. La figura è sempre evidente nei testi di Padre Zef. In questo modo l'autore supera i limiti della figura e tocca l’idea culturale del luogo, il codice e il discorso popolare. Tutto viene fatto dopo le parole e le frasi che, nell'autobiografia di Padre Zef funzionano come un costrutto linguistico ideale in intesa con Thema (che è la sua vita), Thopoi (le montagne sopra Scutari) e statuto del testo autobiografico (Eigler). Da qui la sinonimia getta le sue fondamenta operando attraverso le rare parole del dialetto Gheg.

Anche i lessemi, che seguono il discorso popolare o, meglio, assomigliano al discorso, partecipano all’idioletto di Padre Zef Pllumi. Ad ogni luogo è stato dato il suo discorso. Poiché la lingua parlata è più antica e diffusa di quanto sia quella scritta (J. Lyons), il testo si giova di diversi arcaismi e di varianti e sottovarianti linguistiche. Le parole vengono scritte così come vengono pronunciate negli luoghi epici in cui gli idiomi vivono, perfino nella versione del dialetto del Kosova. In questo modo la lingua di Padre Zef è autenticità e cultura, identità personale e nazionale. 

 

L'identità personale / l’identità culturale

 

L’Autobiografia è un testo soggettivo in cui l’autore costruisce la sua identità personale. L'identità personale appare e si manifesta attraverso la narrazione autodiegetica retrospettiva dall'inizio della vita fino al momento in cui l'autore decide di ricordare, di scrivere e di raccontare se stesso.

La sua identità personale di solito prende la forma della sua piena identificazione in una qualsiasi unità autobiografica, la cui attività è descritta da adulto. Vediamo l’autore in cerca di una identità dal momento che scrive nell’autobiografema prima della sua nascita, infanzia e gioventù. Non dobbiamo dimenticare che una figura non può mai essere presentata integralmente in tutti i piani, come non si possono mettere sulla carta tutte le cose vissute. La ragione per la quale viene fatta questa scelta spetterebbe alla psicanalisi. Nonostante ciò, l’identità personale non è messa alla prova, perché di solito l’autobiografia viene scritta da chi ha un’identità completa. Tuttavia, Padre Zef  basa la maggior parte della sua identità personale sulla sua identità culturale. Questo approccio è tipico di quelle figure selezionate che scrivono e cercano di scrivere un'autobiografia. Padre Zef scrive la sua autobiografia verso la conclusione del suo percorso di vita, quando ormai la sua identità culturale è già plasmata, come frate, come conoscitore della tradizione albanese e dei scritti francescani, come culturologo e scrittore di memorie.

La sua identità culturale è testimoniata ovunque, nella lingua, nella scrittura, nella scuola letteraria, nella dottrina cristiana, e in generale nel mondo della letteratura.

Fatta eccezione per la prima parte de Saga, l'identità personale di Padre Zef Pllumi è tutt’una con la sua identità culturale.

 

L’Autopoetica

 

Nella letteratura autobiografica l’accaduto e la testimonianza possono essere simultanei, come accade in un diario, ma possono anche essere distinti nel tempo. Quando sono simultanee, la scrittura emerge come narrazione, mentre quando si differenziano nel tempo, la scrittura emerge come uno scritto e racconto (S. Hamiti).

La Saga di Padre Zef Pllumi è differenziata nel tempo così come richiesto dalle autobiografie tipiche, egli la scrisse alla fine della propria vita, come del resto fecero anche De Rada, Konica e Noli.

La Saga dell’Infanzia” trasforma l’intesa testuale in principio autobiografico.

Il valore artistico – oltre al valore documentario – dell’autobiografia, dipende anche da fattori importanti che sono integrati in un particolare sviluppo personale. L’esibizione delle strutture  autobiografiche, dal doppio carattere dell’autore (Pascal) fino all’organismo simbolico in relazione al modello classico Dichtung und Ëahrheit (Goethe), influenzano direttamente nella strategia testuale autobiografica.

D'altra parte, il linguaggio di Pllumi è di natura sintagmatica poiché il sintagma è più vicino alla lingua parlata. Tuttavia, noi ci riferiamo alla scrittura che va più lontano del discorso (Barthes).

La legittimazione qui è socializzata ai personaggi. Oltre alla sua lingua, Pllumi cerca di parlare anche la lingua dei personaggi dando la doppia struttura all’idioletto (duplex structures).

Tuttavia, anche se la retorica argomentativa viene messa alla prova, il discorso figurativo rimane sempre l’immagine e talvolta l'essenza della scrittura.

Il discursus figurativo trasforma il discursus argomentativo in discursus personale e passionale.

La Saga di Padre Zef Pllumi è la migliore prova di come l’autobiografia sia essenzialmente un’opera finzionale anche per il fatto che essa si struttura in storie distinte, storie vere sulle quali si intreccia la doppia finzionalita. In tal modo, “La Saga dell’Infanzia”, più che autobiografia è semiautobiografia, un’autofinzione divisa per autobiografemi. Infine, Padre Zef  Pllumi, con la sua opera autobiografica ha creato una grande autopoetica, e come tale deve essere letta e valutata.

 

 

 

Bibliografia:

 

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